Rette e case di riposo: emergono tre necessità 

Sul Messaggero Veneto di martedì 12 gennaio 2010, è stata pubblicata la lettera del signor Giorgio Clocchiatti di Udine che coglie nel segno, nel senso che, per la sua come per tante altre migliaia di famiglie, la situazione riguardo al “peso” delle rette delle case di riposo, rischia di non migliorare affatto, perché i benefici attesi saranno azzerati dagli aumenti delle rette scattati dal 1° gennaio 2010.
Infatti, con gli 8,6 milioni in più, se fosse mantenuta la distribuzione a pioggia attuale, si potranno erogare circa tre euro in più al giorno a ciascuno dei circa 6.800 posti letto per non autosufficienti, convenzionati dalle Aziende sanitarie della Regione. Guarda un po’, giusto l’aumento (3,2 euro al dì) che la casa di riposo Sereni Orizzonti di Udine ha già comunicato al signor Clocchiatti, a partire dal 1° gennaio 2010. E’ quello che è già accaduto o sta per accadere e, dagli annunci in misura anche più pesante, a migliaia di altre famiglie della Regione già tartassate dai forti rincari scattati un anno fa. Ovvero che gli 8,6 milioni, aggiunti ai 36 precedenti con la Finanziaria regionale per il 2010 per il cosiddetto abbattimento delle rette, rischiano di transitare per intero dalle casse della Regione a quelle delle case di riposo, pubbliche o private che siano, senza alcun reale beneficio per le famiglie.
Questo rischio diventa certezza in moltissime realtà dove il caro rette che scatta ora supererà, e non di poco, lo sgravio atteso. Insomma, come prima e peggio di prima, nonostante che, da un anno all’altro, l’impegno di risorse pubbliche sia aumentato di circa il 25 per cento, la quota della retta complessiva di cui si fa carico la Regione (tra oneri sanitari e abbattimento della retta) non si discosterà dal 35 per cento medio (o forse di meno), mentre il restante 65 per cento (e forse di più) continuerà a pesare su utenti, famiglie o Comuni.
Risulta quindi evidente che non si può continuare così ed emergono almeno tre necessità.
La prima, senza alcuna contrapposizione ideologica o preconcetta e fatta salva la libertà di scelta dei cittadini, è la necessità di considerare il ricorso alle case di riposo come l’ultima, in ordine di priorità, delle modalità alla quale ricorrere per assistere i non autosufficienti, solo quando “tutte le altre” non risultino più praticabili e ciò, in considerazione della più bassa qualità di vita che si assegna all’anziano e dei maggiori costi, insostenibili socialmente ed economicamente, cui si va incontro. Emerge quindi la necessità di sviluppare tutte le altre modalità assistenziali più leggere, a partire da un forte impulso dell’assistenza domiciliare integrata, dei centri diurni e di tutte le altre modalità assistenziali intermedie, per offrire valide alternative assistenziali alle famiglie e di promuovere la proattività dei servizi pubblici per orientare e sostenere le famiglie nelle loro scelte, favorendo la domiciliarità e contrastando l’istituzionalizzazione. Se queste sono le priorità, emerge con forza la contraddizione della Giunta regionale che, anziché aumentarlo di tre milioni come dichiarato, riduce da 21,9 a 21 milioni il Fondo per l’Autonomia Possibile (FAP) per l’assistenza a domicilio alle persone non autosufficienti.
La seconda: considerato il parco di circa 10.900 posti letto già autorizzati, a fronte di un fabbisogno dichiarato dalla stessa Regione (novembre 2008) di circa 7.500, è quella di mettere in secondo ordine gli interessi privati che ruotano attorno al business dell’anziano, confermando il primato dei servizi pubblici e dei cittadini, con lo stop all’autorizzazione di nuovi posti letto – salvo l’eventuale sostituzione di strutture inadeguate o fatiscenti – dando corso, finalmente, dopo un’attesa lunga un decennio, al processo di riqualificazione della case di riposo esistenti che è pronto e giace da oltre un anno nei cassetti della Regione, per graduare l’assistenza al fabbisogno individuale, compresa l’attivazione dei servizi di vigilanza e l’avvio dei percorsi di formazione del personale delle case di riposo che, in gran parte, è privo dei titoli e delle conoscenze minime richieste.
La terza: di iniziare a cambiare strada fin d’ora sul riparto del costo delle rette. Occorre introdurre chiarezza e trasparenza e, anziché dividere in due parti la retta complessiva, occorre dividerla in tre quote. Attualmente, le Aziende sanitarie si fanno carico degli oneri sanitari (non totalmente, giacché contribuiscono, mediamente, solo con circa 10 euro al giorno per posto letto), mentre tutto il resto va a carico dell’utente/famiglia/comune, salvo una parte, il cosiddetto abbattimento – indifferenziato – della retta posto a carico della Regione.

Per uscire dalle secche, occorrono nuove regole che suddividano in tre parti l’intera retta, assegnando alle Aziende sanitarie, l’intero costo degli oneri sanitari, nonché quello degli oneri sociosanitari, da definire e da collegare alla gravità del caso: sono i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), sanitari e sociosanitari, che la vigente normativa impone di definire ma che non è ancora stato fatto!
Infine il cosiddetto abbattimento della retta – già a carico del bilancio regionale – deve servire a sgravare le famiglie di una parte dei costi del cosiddetto albergaggio e degli eventuali oneri sociosanitari residui (non ancora posti, in un percorso per forza di cose graduale, a carico del Sistema Sanitario).
L’intervento della Regione, non deve quindi più essere indifferenziato ma, da subito, va collegato alla gravità del caso e successivamente, con i tempi necessari a ricercare un’intesa tra tutte le Parti in causa (Regione, Comuni, Sindacati, ecc.) che assicuri omogeneità di trattamento a tutti i cittadini della Regione e, salvaguardando il benessere delle famiglie, colleghi la loro compartecipazione – ai costi di quest’ultima terza parte della retta complessiva – alla loro reale disponibilità economica (ISEE), adottando anche i più idonei criteri per escludere possibili favori verso quei “furbetti” che continuano a frodare le casse pubbliche attraverso l’evasione fiscale.
Il signor Clocchiatti e tutte le persone e le famiglie che si trovano nelle medesime condizioni devono sapere che, come Sindacati dei pensionati di CGIL, CISL e UIL, il 22 dicembre scorso abbiamo chiesto alla Giunta regionale un incontro da tenersi al più presto per confrontarci su queste nostre proposte che riteniamo ragionevoli e necessarie. Finora, niente. Restiamo in attesa di segnali per individuare, possibilmente, soluzioni efficaci e condivise.

Nazario Mazzotti
Segretario regionale responsabile per la previdenza e per le politiche sociali del Sindacato dei pensionati – SPI CGIL