Riforma della sanità , sbagliato il via libera ai privati

«Il sistema socio-sanitario regionale non ha bisogno di allargare gli spazi ai privati. I livelli essenziali di assistenza, infatti, vanno garantiti potenziando l’offerta pubblica e uniformando verso l’alto gli standard qualitativi dei servizi richiesti ai soggetti privati già  accreditati». A sostenerlo i sindacati pensionati Cgil, Cisl e Uil del Friuli Venezia Giulia, con i segretari generali Ezio Medeot (Spi-Cgil), Gianfranco Valenta (Fnp-Cisl) e Magda Gruarin (Uilp-Uil), che ribadiscono la loro contarietà  al’articolo 45 del disegno di legge Telesca.
«Pur condividendo l’impianto generale della riforma sanitaria ““ spiegano Medeot, Valenta e Gruarin ““ abbiamo già  espresso all’assessore la nostra contrarietà  a un articolo che rischia di liberalizzare l’accesso agli operatori privati nella sanità  e nell’assistenza. Siamo infatti convinti che l’obiettivo di rafforzare i servizi socio-sanitari, che è uno dei pilastri sulla riforma, possa e debba essere perseguito attraverso un efficace riequilibrio della spesa tra ospedali e territorio, e non favorendo l’accesso di nuovi soggetti privati, che non garantirebbero né una maggiore uniformità  dei servizi sul territorio né tantomeno un contenimento della spesa». I pensionati, in particolare, sono contrari all’aumento dei posti letto in casa di riposo: «La priorità  ““ sostengono ““ non è quella di aumentare i posti accreditati oltre all’attuale tetto di 10.400, ma di rafforzare l’assistenza domiciliare da un lato, dall’altro concludere il processo di riqualificazione delle case di riposo e rafforzare gli strumenti per contrastare il caro delle rette, il cui livello sta diventanto insostenibile per un numero crescente di famiglie»
Ma i nodi, per i pensionati, non si limitano all’articolo 45. Medeot, Valenta e Gruarin criticano anche la marcia indietro della Giunta nella parte relativa ai medici di base, e in particolare il venir meno dell’obbligo di avviare, a partire dal 2017, quei servizi innovativi come la medicina di gruppo e le aggregazioni funzionali che dovevano garantire, nella prima formulazione della riforma, l’apertura per 12 ore al giorno sei giorni su 7 degli ambulatori. «In questo modo rischia di venir meno uno degli aspetti più innovativi della riforma», commentano i segretari regionali, che auspicano il ritorno da parte della Giunta all’impostazione iniziale, «vincendo le resistenze di chi si oppone a un modello di sanità  diverso e più radicato al territorio».